Nello zapping di fine serata, mentre su Raiuno sfilano le innumerevoli e straordinarie Bellezze dell’Italia di Alberto Angela (e chissà che qualcuno non pensi a farne versioni locali su tv o web…) il telecomando intercetta la scena finale e i successivi applausi di “Al Marchés Popò”. Il dialetto in tv: una storia lunga ormai 40 anni, qui con la novità

della prima televisiva dell’unico testo teatrale di Renzo Pezzani, grazie alla conpagnia La Duchessa che la portò in scena al teatro Pezzani (oggi malinconicamente chiuso con un ingresso rifugio di senzatetto) nel 2015.

Regia di Giovanni Catalano con gli interpreti guidati da Pietro Vitali e con le musiche dal vivo. Da rivedere, se ci saranno altre repliche, ma intanto quelle scene finali e gli applausi del pubblico mi riportano a 40 anni fa, e a un fuoriclasse prestato alla tv.

Era il 1982, e mentre i primi direttori della Tv Parma targata Segea erano già rientratoi in Gazzetta (Pier Paolo Mendogni e Ivo Allodi), la direzione della tv venne affidata a Aldo Curti. Non un distacco: Curti restava vicedirettore della Gazzetta nel suo ufficio di via Casa, e da lì avrebbe guidato la tv che era ancora in Guasti di Santa Cecilia prima di trasferirsi a sua volta di qua dall’acqua nella nuova sede di via Saffi.

Curti vestiva la carta della Gazzetta come una seconda pelle. Non aveva apparentemente nulla di televisivo: nè l’età, nè la vocazione, nè la dizione, neppure l’esteriorità (anche per i problemi agli occhi che lo obbligavano a leggere tirandosi il foglio davanti al viso e vicinissimo agli occhi). Eppure era un fuoriclasse di provincia: anima diversa ma perfettamente complementare rispetto all’eleganza direttoriale di Baldassarre Molossi. Curti era l’antenna del commerciante della Ghiaia, del panettiere, dell’edicolante…insomma del parmigiano in tutte le sue versioni, ma soprattutto dell’uomo della strada: quello che avrebbe dovuto acquistare l’indomani la Gazzetta in edicola.

Conservatore, ma capace di andare al di là delle sue stesse idee se una notizia o la proposta di qualche redattore “comunista” lo meritasse. Un senso della notizia mai più rivisto: capace di cogliere nei fatti la novità ma anche solo la “banalità” contagiosa. Come quando capì fin dai primi fiocchi che la nevicata del 1985 avrebbe fatto parlare la città per giorni interi, e rimandò in strada – a metaforici calci – l’intera redazione (ovvero Francesco Silva e il sottoscritto), dopo che noi avevamo liquidato la nevicata in un “normale” servizio da 2′ e dopo che gli avevamo risposto, con la tupida presunzione dei 25 anni, “Ma Curti: mica è nevicato in agosto…In gennaio fa notizia ?”. E lui ripetè il suo slogan preferito: “Andate fuori e ascoltate di che cosa parla la gente”: che in effetti non aveva in testa che i disagi che la neve e poi il ghiaccio stavano provocando.

Anche quando ci disse dell’idea di trasmettere in tv le commedie dialettali, forse a noi scappò un sorrisino. CI sembrava un’idea poco televisiva, forse provinciale… Fu un successo strepitoso: le più belle commedie delle nostre compagnie dialettali sono andate in replica per decenni, sempre coinvolgendo migliaia di parmigiani, come sperimentai direttamente una sera in cui alla fine de primo ciclo di commedie aprimmo i telefoni della redazione (allora non esistevano i social…) per chiedere ai parmigiani se l’idea era piaciuta: fummo travolti dalle telefonate e dall’entusiasmo.

Ecco: guardando quei fotogrammi e ascoltando quegli applausi, ieri sera ho pensato al valore da preservare della tradizione del dialetto e a Aldo Curti e alla sua splendida lezione di giornalismo, di provincia ma non solo provinciale.

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