Vedo crescere l’euforia, sui profili dei miei “amici” di destra

(uso le virgolette perchè mi riferisco all’ampia platea degli “amici di facebook”, quindi amicizia virtuale ma allo stesso tempo platea concreta). E in effetti i sondaggi continuano a indicare una vittoria certa del blocco di destra, anche se da cronista ricordo sempre i sondaggi delle Comunali 2012, che davano non più del 3% allo sconosciuto Federico Pizzarotti…

Non sarebbe un esito sorprendente, del resto. Per mezzo secolo l’Italia è sata governata dalla Democrazia cristiana, che fu scelta anche e soprattutto nel nome dell’anticomunismo nelle fondamentali elezioni del 1948, e che poi almeno per 15 anni guardò soprattutto alla propria destra, a dispetto dell’immagine “centrista” che si volle dare e che riuscì a darsi. Solo negli anni ’60 ci fu il dialogo coi socialisti per un centrosinistra e solo negli anni ’70 l’assonanza fra Moro e Berlinguer portò all’ipotesi del compromesso storico, peraltro presto interrotta dall’omicidio dello stesso Moro ma anche da un lavorio politico interno alla DC (leggi soprattutto Andreotti). Poi il 1994 di Berlusconi e Fini/Bossi…Insomma, mi sono sempre stupito più dei successi della sinistra negli anni di Berlinguer o nel 2013 di Bersani o del 40% del Pd di Renzi di quanto non mi stupirei di una destra al potere nel 2022, come del resto già 100 anni prima (anche se allora in versione poco democratica…).

La cosa che però sembra sfuggire, per la verità a tutti gli schieramenti politici e alle rispettive tifoserie, è che le elezioni non sono come il campionato di calcio. Lì vince la Juve o l’Inter o il Milan di Pioli: una tifoseria festeggia, le altre rosicano e il verdetto è definitivo, fino al campionato successivo.

Qui no. Qui l’esito delle elezioni si può anche festeggiare, ma il campionato inizia dopo. Ed è un campionato del mondo, dove l’Italia – piaccia o no – è una sola squadra, chiunque ne sia “l’allenatore” (o l’allenatrice…) scelto nelle urne. I conti del Paese, ad esempio, o migliorano o peggiorano: nel primo caso ci guadagniamo e vinciamo tutti, mentre nel secondo ci rimette anche chi ha votato il/la premier.

Idem per i servizi e le tasse. Se la Meloni mi fa pagare meno le seconde mantenendo o migliorando i primi, loderemo tutti la Meloni. Se le tasse non diminuiscono per me ma solo per Berlusconi o per gente che guadagna più di me, ne godranno solo Berlusconi e quella fascia sociale, mentre tanti elettori della destra si ritroveranno illusi come quelli che 4 anni fa votarono per quello che “al primo Consiglio dei ministri taglierò le accise sulla benzina” e che “rimpatrierò 600mila clandestini”.

A scanso di equivoci, è la stessa cosa che vale a sinistra, ad esempio per tanti di noi che a Parma hanno appoggiato la candidatura di Michele Guerra. Se fra 5 anni Parma sarà migliore, ne avremo guadagnato tutti noi parmigiani di qualunque ideologia; mentre se Parma peggiorerà, il fatto che abbia vinto il “mio” candidato non mi darà alcun vantaggio o consolazione.

Ecco chi vincerà davvero le elezioni. Quanto a perderle, lì sì che il pronostico è davvero facile: le perderà chi non andrà a votare, ovvero chi sprecherà il dono preziosissimo della libertà di scegliere. E alle elezioni nazionali non ci sarà neppure la scusa della Roberti e della Canova, dietro alla quale si nascosero in giugno tanti qualunquisti parmigiani…

PS – Chiunque vinca, questo Paese ha bisogno di ritrovare una cultura di “squadra”. Alimentare divisioni e individualismi può fare vincere una elezione, ma poi si ritorce contro chi li alimenta. Il dramma del Covid, la guerra in Ucraina con conseguente crisi energetica, ci ha dato (purtroppo) l’occasione di ritrovare nel Paese coesione e solidarietà reciproca. Ma è durata pochi mesi: poi qualcuno ha iniziato a privilegiare gli interessi di bottega e alla fine abbiamo buttato alle ortiche anche la possibilità di una guida autorevole come Draghi. Forse dovremmo rileggere Guareschi, galantuomo di destra che ha sempre osteggiato il comunismo ma ha spiegato nella sua opera più famosa che le cose migliori, anche politicamente, arrivavano quando Peppone non si comportava da trinariciuto ma anche Don Camillo non ascoltava i reazionari. Una lezione quanto mai attuale, nell’Italia provvisoria e egoista del 2022, dove i trinariciuti sono ancora tanti sia a sinistra che a destra. Ne riparleremo presto.

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