Non ti conosco, non so se sei uomo o donna, giovane o adulto, parmigiano o straniero… Ma credo che nemmeno tu sappia

chi è quel ragazzo del quale (per rabbia? per noia? per che altro?) hai distrutto la foto.

Si chiamava Antonio, e se invece di spaccare tu ti fossi fermato a leggere bene quelle poche righe di fianco alla foto, avresti capito che ci sono due modi di stare al mondo. Uno è il nostro (no: non vado anch’io in giro a spaccare lapidi, ma anch’io come te e come tanti so che non sto costruendo qualcosa di bello); e uno è quello di Antonio.

Anche lui era “straniero”, come lo sono tanti che secondo certi post sui social “stanno imbarbarendo la città”, “non rispettano le nostre regole”, “stanno distruggendo la parmigianità” e via lamentandosi… Gli stranieri di allora erano i terroni, e a Parma Antonio era “sbarcato” cercandovi quel lavoro che a Matera non avrebbe probabilmente trovato. Chissà che impressione gli aveva fatto in quelle poche ore la nostra città, chissà se a 17 anni provava già nostalgia per la famiglia e per quella sua meravigliosa città: una Venezia di pietra che però era diventata quasi simbolo di una parte di Paese ancora arretrata. Chissà se nei suoi pensieri c’era qualche ragazza, lasciata in Lucania o intravista a Parma in quei primissimi giorni.

Sicuramente aveva l’età per sognare, Antonio. Tanto più quella mattina in cui stava andando a chiedere per un impiego. C’era il sole di maggio, c’era quel torrente che attraversa e rende più dolce la città…

…ma poi quelle grida, quell’uomo in difficoltà. E lui si è gettato: si è gettato di corsa giù per la scarpata, si è gettato nell’acqua, ha raggiunto il pescatore, l’ha afferrato, poi ha ceduto. E l’acqua se li è portati via tutti e due, e si è portata via i sogni di Antonio.

Antonio Turi, da Matera, in quel suo ultimo giorno fu per sempre più parmigiano dei parmigiani, più generoso di ogni generosità. Era il 1969: di lì a poco una mano assassina avrebbe seminato il primo sangue della strategia della tensione uccidendo anche l’innocenza del Paese, che in due decenni aveva provato a rinascere dalle ceneri e dalle stragi della guerra. Un Paese che si stava trasformando da contadino a industriale: lo chiamavano boom, e solo qualcuno (Pasolini e il nostro Guareschi, per esempio) capiva che quel progresso non era vero progresso, perchè si portava via una intera e secolare civiltà, di valori legati alla terra.

Ecco: Antonio era ancora figlio di quella civiltà contadina, e furono i suoi valori a spingerlo a quel tentativo di aiuto che gli costò la vita. Una tragedia, ma anche una lezione straordinaria di amore per il prossimo e per la vita altrui. E la Gazzetta, che qualche anno prima aveva voluto una lapide in borgo Giordani per l’immaginario incontro d’amore tra Clelia e Fabrizio nella Certosa di Stendhal, capì che anche quell’amore vero per il prossimo meritava una lapide che nei decenni e forse nei secoli ricordasse a chi passava dal Ponte Bottego (oggi Ponte delle Nazioni) quel gesto e quello slancio. Vennero i familiari, e Giovanni Ferraguti fermò nel bianco e nero il bacio dell’amore di una Mamma, inginocchiata sul marciapiede per arrivare alla foto di quel figlio; inginocchiandosi a sua volta, Giovanni riuscì a portare tutta la città al fianco di quella Madre, come in un abbraccio muto e grato.

Hai capito adesso che cos’era quella foto e quale straordinaria storia racconti? Hai capito perchè tutte le volte che un parmigiano si reca a Matera, oltre ad ammirarne gli splendidi sassi dovrebbe fermarsi un minuto in silenzio a ricordare Antonio, materano e figlio adottivo di Parma, al quale Matera ha poi intitolato un istituto alberghiero?

E capiranno in Comune (o all’Iren) che faceva ancora più male, ieri pomeriggio, vedere ancora lì in terra i pezzi del portafoto senza che nessuno – pur dopo la pubblicazione della Gazzetta – avesse sentito il bisogno di passare a pulire e a sistemare in attesa di ripristinare – si spera presto – la foto di Antonio? Capiranno che occorre riproporre al più presto questo altare laico che ogni giorno deve ricordarci che possiamo essere migliori? Capiranno che forse, proprio dopo questo episodio, occorrerebbe creare ad ogni 5 maggio un appuntamento fisso, da pensare insieme a Matera, per celebrare quei valori, magari con un premio a singoli o associazioni che a loro volta si spendono per gli altri?

E capiremo noi che dobbiamo davvero ribaltare le nostre gerarchie, i nostri valori, i nostri comportamenti e i nostri messaggi aggressivi, se non vogliamo che i più ignoranti possano pensare che quel preziosissimo pezzo di città possa essere sfregiato così?

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