“Riconciliazione” ho letto in una lettera alla Gazzetta dei giorni scorsi, che faceva il paio con

un’altra richiesta di intitolare una via a Sergio Ramelli.

Poi aprile è già finito, ed è fin troppo facile prevedere che ritroveremo gli stessi temi, pari pari anche nei termini e nelle modalità, nell’aprile 2026. E sarà ancora uno sterile muro contro muro, in un Paese che non sa fare i conti con il proprio passato.

Sarò brevissimo, anche perché qualcosa ho già accennato su facebook a entrambe le questioni.

  1. Partiamo da Sergio Ramelli, il ragazzo di destra ucciso nel 1975 a sprangate da militanti della sinistra extraparlamentare. Delitto orribile, dettato dalla esasperazione della lotta politica fra chi aveva idee diverse. Meriterebbe una strada Sergio Ramelli? Certo. Ma né più né meno di tutte le vittime di quegli anni e di quel clima avvelenato, che portò alla morte di ragazzi di destra e di sinistra (oltre che di poliziotti). Uno di loro, Mario Lupo, fu ucciso proprio a Parma: in quel caso, Mario – all’opposto di Sergio – era un ragazzo di sinistra e fu ucciso in un agguato tesogli da alcuni neofascisti, uno dei quali lo colpì con una coltellata. E se ancora qualcuno cerca di farlo passare per delitto passionale (pare che uccisore e ucciso avessero anche simpatia per una medesima ragazza), vi rimando alle dichiarazioni che lo stesso omicida rilasciò in aula al processo, attribuendo l’omicidio solo al clima politico. Quindi, molto semplicemente, non potrebbe esistere – almeno a Parma – una via Ramelli senza una via Lupo come chiedeva la sbilanciata lettera inviata alla Gazzetta. E la vera proposta seria, semmai, è quella di intitolare una via a tutti coloro che in Italia sono morti in questa malintesa guerra politica: morti di destra e morti di sinistra. Perché questo non avvenga mai più. Punto.
  2. Allo stesso modo, va benissimo chiedere una riconciliazione. Ma è un po’ bizzarro che il discorso venga portato avanti in un certo modo da chi, più o meno direttamente, sta dalla parte politica erede di quella del ventennio dittatoriale. Per non parlare delle ambiguità verso il neofascismo degli anni ’60-’70: cosa che il Pci non ebbe al punto da annoverare anche delle vittime del terrorismo di sinistra come il sindacalista Guido Rossa. Se infatti è giustissimo – e va fatto – rimarcare e condannare le tante violenze che seguirono alla Resistenza e alla Liberazione (vedi delitti del cosiddetto triangolo rosso emiliano), a monte ci deve essere – finalmente – una ancor più chiara presa di distanza verso ciò che fu la causa di tutto: ovvero la dittatura mussoliniana, con la sanguinosa coda della nazifascista repubblica di Salò. Se non si parte da qui e si racconta una generica “guerra civile” come se essa fosse caduta dal cielo, non si racconta la Storia (che è sì scritta dai vincitori, ma che non può essere falsata dai vinti o dai loro simpatizzanti). Prima c’è qualcuno che deve fare i conti con le nefandezze di Mussolini, della sua dittatura, della sua guerra, delle sue alleanze e dei morti da lui provocati (450mila Italiani). Poi sì che a questo si deve aggiungere un riesame obiettivo dei delitti dall’altra parte (foibe comprese). Ma andiamo con ordine: altrimenti sarebbe più confusione op disinformazione che non vera, e necessaria, Riconciliazione. E se ci si crede davvero, si organizzino prima del prossimo 25 Aprile dei convegni storici con persone serie e credibili. E allora sì che alla Riconciliazione si potrebbe arrivare davvero. Punto.
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