Che splendida idea quella di riportare in San Francesco del Prato, oggi cantiere simbolo di Parma 2020, un presepe che racconta una storia struggente, fra lager e famiglia, fra carcere e libertà. E’ il presepe che
Giovannino Guareschi costruì durante i lunghi mesi del campo di concentramento (o meglio è una copia perfetta di quello, che oggi viene conservato con amore dal figlio Alberto nella casa-museo di Roncole Verdi). E che lo scrittore volle portare con sè anche durante i 405 giorni di reclusione proprio in San Francesco, il complesso religioso che a lungo fu carcere e che oggi sta per essere restituito alla città.
Andiamo con ordine. Il piccolo presepe di cartone, di cui la foto mostra apunto la copia ora esposta, fu realizzato da Guareschi nel lager dove fu rinchiuso quando rifiutò di aderire – dopo l’8 settembre – alla mussoliniana repubblica di Salò. La particolarità è nella casa disegnata sullo sfondo, dietro la capanna e sotto la stella cometa. Quella, infatti, è l’abitazione nella quale la famiglia di Guareschi era sfollata dopo i bombardamenti su Milano, dove Guareschi lavorava e abitava.
E in quella casa, come si può notare, ci sono le luci accese. L’immagine che permetteva al Guareschi recluso di addormentarsi sereno, perchè quelle luci gli raccontavano che la moglie e i due figli (Albertino e la Carlotta che ancora non aveva potuto vedere) stavano bene. Cosicchè anche lui poteva addormentarsi sereno e determinato a non mollare, con la famosa frase del Diario clandestino “Non muoio neanche se mi ammazzano”…
Quando negli anni ’50 la vicenda delle lettere attribuite a De Gasperi lo portò a una nuova e amara reclusione, questa volta in un carcere italiano (appunto San Francesco a Parma), Giovannino volle riportare con sè il presepe che gli aveva fatto compagnia e coraggio nel lager, e con quello trascorse il Natale in prigione, in mezzo a quei 405 giorni di nuova ed amarissima reclusione.
Proprio poche settimane fa, e mi viene la pelle d’oca nel raccontarlo, avevo visto il vero presepe, nelle mani di Alberto Guareschi di fronte ad una emozionata comitiva in visita a Roncole: un presepe estratto con infinita cura, e con guanti bianchi per non danneggiarlo, dalla valigetta che racchiude tutti i quaderni e gli oggetti che lo scrittore riportò a casa dal lager.
Ecco perchè è bellissimo che nel cantiere che è oggi San Francesco sia stata allestita questa piccola ma toccante mostra. Nella quale ci sono anche le parole di Alberto, attraverso un video, e ci sono le parole immortali di Giovannino proprio sul periodo del lager: “Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo”.
Una lezione nobilissima e più che mai attuale. Al punto che meriterebbe un posticino permamente, nella ristrutturazione di questo gioiello che nel 2020 sarà di nuovo patrimonio della città.
Per approfondire: IL CASO GUARESCHI – Un libro e un progetto
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