Una cosa che non ricordavo e che mi ha colpito tantissimo. Nel revival di Tv Parma, con la telecronaca della serie A, conoscevo ormai a memoria l’urlo del gol di Melli e della promozione da sogno, il gol iniziale decisivo del sindaco Osio, le parole lucidissime ed emozionanti insieme del presidente e figlio Fulvio Ceresini. Ma non mi aspettavo di veder spuntare fra le interviste negli spogliatoi Marco Ferrari.

Invece, dopo capitan Minotti, i due marcatori, Calisto Tanzi, Susic (e chissà se in qualche videocassetta c’è ancora la chiacchierata con Scala sulla panchina del Tardini ormai vuoto), vedo sbucare quello che era stato il portiere di Sacchi, ma in quell’anno aveva ceduto il posto all’arrivo di Zunico e al giovane Bucci che stava crescendo. E allora perchè intervistare lui e non protagonisti come Apolloni o Zoratto?

Il perchè l’ho capito rivedendo la telecronaca e i minuti della festa dopo il fischio finale. Ferrari era lì, ad esultare come gli altri in una festa che era davvero di tutti. E nelle sue parole al microfono di Tv Parma, c’era sì tutta la difficoltà di una stagione personalmente diversa da come l’aveva sognata, ma c’era anche l’orgoglio di aver saputo far tacere le esigenze personali per mettersi al servizio di un gruppo speciale.

Ecco. Si dice sempre, ed è spesso vero, che nello sport si vince solo se si sa fare squadra. Ma spesso si allude ad un fare squadra professionale, retto su motivi di interesse e di convenienza immediata. Quel Parma, invece, non era così: ascoltatevi come Sandro Melli (uno che l’ipocrisia non sa dove stia di casa) raccontare le difficoltà e l’amarezza dei ritiri, quando piovevano le sconfitte su una squadra in lacrime per la morte dell’amatissimo Presidente Ceresini. Compresa la grande e ingiusta beffa della sconfitta a tavolino con la Reggina per l’accendino sul naso di Cascione. Difficoltà e amarezze, ma anche il senso di “una grande e vera amicizia”.

Solo così, lo capiamo meglio 30 anni dopo, si poteva recuperare e realizzare il sogno di una serie A che sembrava ormai svanita. Solo così poteva nascere da quei giovani, di talento ma senza nomi eclatanti, una straordinaria storia di successi anche europei e di calcio all’avanguardia, che da quel 27 maggio 1990 sarebbe arrivata fino al 2000 di Mosca, passando per le imprese di Wembley e San Siro, per i mille sgambetti alle grandi tradizionali, per scudetti sfiorati…

Sbaglia chi pensa che il calcio sia solo calcio. In quella impresa che scatenò la festa di tutta la città c’è una lezione che vale ancora per tutta la città: “se ognuno di voi riesce ad accettare i limiti dei vostri compagni ed i limiti del vostro allenatore, allora saremo una squadra vincente”. Sono parole proprio dell’allenatore: quel Nevio Scala scelto con l’ennesima intuizione da Ernesto Ceresini e dal dg Pastorello. E 30 anni dopo la butto lì: forse quel Mister contadino, che portò Parma nel paradiso del calcio e più recentemente lo fece ripartire dall’inferno del post-Ghirardi, meriterebbe il riconoscimento della cittadinanza onoraria. Da consegnargli in Comune o, meglio ancora, al Tardini…

(Ps – Tanti i momenti e le emozioni rivissute, in quella telecronaca). Ma una mi ha colpito in modo particolare: la voce amica di Annamaria Bianchi dagli altoparlanti del Tardini. Un altro segno di riconoscimento di una città che viaggiava unita e nel segno del sorriso).

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