Quelli della mia età le ricorderanno. Le telecronache di Nicolò Carosio e Nando Martellini ogni tanto proponevano la parola “giuoco”. Con la u: un arcaismo poi pian piano scomparso, salvo essere a volte ripreso – per vezzo – da Silvio Berlusconi al suo arrivo alla guida del Milan. Me non è scomparsa solo la u…
Con quella vocale, a poco a poco, sono scomparse tante altre cose del calcio: il rito domenicale di stadio e radioline, sacrificato alle esigenze della tv; l’importanza dei tifosi, nel momento in cui il botteghino ha smesso di essere l’introito principale; l’attenzione ai bilanci (ricordate, quando emerse il buco della gestione Ghirardi, il solenne proclama “mai più un caso Parma”?); le presidenze locali, sanguigne ma appassionate, che hanno lasciato il posto a dirigenti venuti da lontano o magari a fondi di investimento. Qualcuno anche allora, finiva o rischiava la bancarotta: ma era più spesso un raptus a provocarlo, che servisse ad acquistare Savoldi o a tenere Paolo Rossi a Vicenza. Poi, però, vivere al di sopra di possibilità e bilanci è diventata una regola, di cui anche a Parma abbiamo sperimentato gli effetti.
Così, ora pare che alcuni dei club più importanti siano sull’orlo del fallimento. Cosa che negli ultimi anni non ha impedito a nessuno di continuare la politica dei folli investimenti, dei folli ingaggi, delle folli percentuali ai procuratori: una corsa al suicidio che però nessuno ha mai saputo o voluto interrompere. E a questo punto è uscita l’idea, peraltro ventilata da anni, della Super Lega europea.
Che dire? Dal punto di vista economico non ho la minima competenza: non so quindi se la Super Lega sarebbe una soluzione, nè che cosa accadrebbe se non se ne facesse nulla.
Ma dall’altra parte, è evidente a tutti che – a meno che qualcuno non si inventi un geniale compromesso che salvi capra, cavoli e pallone – il calcio come l’abbiamo conosciuto è arrivato davvero alla fine. Ed è proprio qui, però, che i conti dei “top club” che hanno varato il progetto potrebbero anche non tornare. Diversamente dalle citatissime leghe di altri sport, infatti, i Super Snob del calcio potrebbero trovarsi in mano uno sport diverso, che non necessariamente avrà lo stesso appeal (che è poi quello che occorre per i sempre necessari diritti tv).
Ve lo ricordate il gol di Josè Mauri col quale il Parma ormai retrocesso e fallito sconfisse la Juventus? Una lezione di dignità della squadra di Donadoni. E quegli scudetti decisi a sorpresa da Verona, Lecce o Perugia, capaci di sgambettare proprio sul filo di lana Milan, Roma e Juve? E, tornando a casa nostra, le prime vittorie del piccolo neo-promosso Parma sulle “grandi”…? Non semplici emozioni, ma anche grande lezioni di Sport: quello con la S maiuscola che è palestra di vita e insegnamento di coraggio, del non darsi mai per vinti, del provare a prevalere anche su chi ha più ricchezza e tradizione.
Ecco: magari il progetto della SuperLega andrà comunque avanti e un giorno arriveremo ad abituarci pure a questo, ma di certo il calcio a circolo chiuso smetterebbe di essere lo sport imprevedibile che avvince miliardi di persone nell’intero pianeta. Smetterebbe di essere quello che da sempre chiamiamo il gioco più bello del mondo, quello nel quale anche il campione più celebrato cerca di domare il pallone esattamente come lo può fare un bambino in cortile o su un campetto di periferia. Bello proprio perchè comunque rimasto un gioco. Anzi: il “giuoco”, con la u di Utopia…
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