Volano le pagine. Volano gli anni, i ricordi. E alla fine volano via vite umane, nel rumore secco degli spari che uccidono.

E’ una lettura scorrevole di scrittura ma durissima di contenuto,

quella dell’ultimo libro di Giuseppe Culicchia: “Il tempo di vivere con te”. Le parole della canzone di Mogol-Battisti si intrecciano con vite che non hanno avuto quel tempo, un po’ per scelta e un po’ per destino.

Flashback del flashback cartaceo di uno dei più noti scrittori italiani: venerdì Giuseppe Culicchia era a Parma, a Lostello della Cittadella, ma non è stata una normale presentazione di libro. Non poteva esserla, perchè se già nel nascere quello di Culicchia non poteva essere solo un libro, ora la storia di quelle pagine si è intrecciata con un’altra storia che fra poco proverò a spiegare al lettore.

Il destino, dicevamo: un primo destino di questa storia è che Culicchia avesse un cugino, di 9 anni più grande, che idolatrava come un fratello, compagno pazientissimo di giochi estivi in una famiglia allargata, come tante volte avviene. Un cugino di nome Walter, che sapeva farsi voler bene da tutti, ma che un giorno – al ritorno da scuola – Giuseppe vede in fotografia nella televisione, che trasmette telegiornali davanti ai quali i suoi genitori sono impietriti e piangenti.

Walter, infatti, era Walter Alasia: era entrato nelle Brigate Rosse, chiamato dal capo delle BR Renato Curcio che a sua volta stravedeva per quel ragazzo studioso, bravo con le parole e rapido a imparare anche con le armi. Come quel 15 dicembre 1976, quando Digos e poliziotti si recano a casa sua per arrestarlo: Walter impugna la pistola e fredda due poliziotti, per poi tentare la fuga dalla finestra ma venendo a sua volta ucciso in cortile da altri poliziotti. La ricostruzione ufficiale farà discutere, e viene messa in dubbio anche nel libro, ma non è questa – almeno non oggi – la questione più importante.

Le cose importanti, e capaci davvero di scuoterci, sono due. La prima è quella racchiusa dal libro: attraverso i ricordi, prima dei giorni felici e poi del tragico trauma, Culicchia – anzi, Beppe – cerca di capire come possano saldarsi il Walter dei suoi ricordi e il Walter terrorista. Una domanda serbata per più di 40 anni, prima che Giuseppe (seppur appunto scrittore affermato) trovasse il coraggio per scrivere questo libro. E con lui siamo tutti noi a chiederci come avvenne che tanti ragazzi a sinistra come a destra scegliessero la strada della violenza, spesso a costo della propria stessa vita (preziosissime sono le pagine che ripercorrono non freddamente i nomi delle tante vittime di quegli anni, dal giovane Mario Lupo di Lotta Continua accoltelato a Parma da un neofascista al giovane Sergio Ramelli ucciso a colpi di chiavi inglese da estremisti di sinistra perchè di destra).

I ricordi di Giuseppe, che all’inizio appaiono privatissima ricostruzione di una stagione di amicizia familiare, tale da lasciare indifferenti o addirittura infastiditi per la sottolineatissima “appiccicosità” dell’autore, pagina dopo pagina divengono storia di tutti coloro che, per anagrafe, quegli anni hanno vissuto e ben ne ricordano il clima davvero plumbeo. E quando la rievocazione arriva al momento più tragico, pur senza conoscerlo anche noi ci uniamo alle domande senza risposte del piccolo Beppe che oggi a sua volta ha figli ai quali non riesce a raccontare la storia. Come è stato possibile?

Basterebbe, e avanzerebbe, per chiudere la lettura muti e sconvolti, ripensando alla tragedia di una intera generazione. Ma vi dicevo di quel flashback e di quella presentazione in Cittadella che non è stata solo una presentazione di libro. Sì, perchè la seconda cosa importante è che allo stesso tavolo di Culicchia, ovvero del cugino di Walter, c’era anche Giorgio: Giorgio Bazzega, figlio di Sergio Bazzega dell’Antiterrorismo che fu una delle due vittime di Walter. Anzi: una delle due persone che insieme a Walter persero la vita quel tragico giorno. Persone. Perchè un conto fu per noi vivere quel sangue quotidiano attraverso giornali e tg con nomi di “vittime”, e un conto fu per chi quelle vittime vedeva come Persone, come affetti di casa su cui contare per tutta la vita.

Come Giorgio, appunto, che era un bambino. E che inevitabilmente perse la bussola del suo crescere, smarrendosi più volte e in vario modo fino a trovare una apparente ragione di vita: vendicarsi uccidendo Renato Curcio, cioè colui che aveva reclutato il brigatista che aveva ucciso suo padre. Non so se Giorgio vorrà mai scrivere anche un suo libro (quanto sarebbe prezioso!), ma già solo ascoltarlo è qualcosa di sconvolgente e insieme straordinario. Pensate che arriva a dire a Giuseppe, quando lui racconta il “suo” Walter, che forse anche a lui verrebbe voglia di abbracciare quel ragazzo se oggi fosse lì. E lo dice davanti a sua madre, la vedova di Sergio Bazzega che annuisce e che – credo – si senta orgogliosa di quel figlio speciale.

Giorgio capì quanto fosse illusoria anche quella strada nel giorno in cui sentì parlare Manlio Milani, che perse la moglie nella strage fascista e tragicamente vile di Piazza della Loggia a Brescia. Giorgio capì, e quando ebbe davvero l’occasione di trovarsi a tu per tu con Curcio – invitato da un centro sociale a due passi da casa Bazzega – si limitò a mettergli una mano sulla spalla, a spiegargli chi era e (mentre l’ex capo BR arretrava impaurito) si limitò ad aggiungere: “Volevo solo guardarti in faccia”, prima di allontanarsi in lacrime ma finalmente “guarito” dai suoi demoni. E forse finalmente riabbracciato a quel padre di cui gli dicevano tutti che era un poliziotto democratico ispirato dai valori della Costituzione.

E’ un dialogo che stordisce, tanto è potente. E’ un peccato che non si possa allargarlo oltre la sala del contenitore della Cittadella (ed è un peccato che giornali di carta, tv e siti web non siano in massa a raccontarlo a chi non c’era). Ma per fortuna è anche solo il prologo ad un altro e ancor più grande appuntamento, come annuncia Max Ravanetti che ha condotto il dialogo Culicchia-Bazzega e che da qualche anno ha il merito di avere portato proprio a Parma passaggi importanti di questo percorso a più voci sulla giustizia riparativa. Sarà il 12 novembre all’Auditorium Paganini, ma sarà trasmesso anche in streaming. Non perdetevelo: ne uscirete – ve l’assicuro – diversi e più ricchi.

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