Non è un film, ma è da storia del Cinema. Non è un concerto, ma ci sono pagine da storia della Musica. Non c’è praticamente azione, ma è evidente la mano di un grande regista. E’ asciutto come un documentario, ma alla fine commuove.

E’ stato un ritorno bellissimo, dopo due anni, in un cinema…

La sala, le poltrone, il grande schermo, i trailer e perfino la pubblicità… Aspettare più di altri, per prudenza o anche solo per paura, ha reso ancor più grato e prezioso il momento del nuovo incontro con la sala cinematografica. Sono sale ancora con tanti vuoti, ma si può sperare di tornare presto a incontrarsi in tantissimi anche al cinema, specie se per opere come “Ennio”.

Mi incuriosiva e mi interessava, questo omaggio alla figura di Ennio Morricone. Ma nonostante anche la firma fosse da Oscar, con Giuseppe Tornatore, non mi sarei mai aspettato di restare per 2 ore e mezzo incollato e coinvolto, ammirato e a tratti davvero commosso (Morricone è figura a volte anche dura o di apparenza presuntuosa, ma non si può restare insensibile alla sua dedica alla moglie mentre riceve la statuetta di Hollywood).

“Presuntuoso”, dicevo. Ma la storia di Morricone è un ossimoro continuo e affascinante: sicuro di sè certamente, ma anche umile nella ricerca e nello studio continuo; appassionato nel comporre quanto freddo, da esperto giocatore di scacchi; comprensibile e anche sperimentatore… C’è, anche qui, una lezione profonda per tutti noi: il talento è indubbio, ma è l’applicazione ad averlo fatto emergere. Sono i dubbi (il complesso di “colpa” verso la musica colta con la quale era cresciuto e che aveva studiato), le notti trascorse a comporre, i voli transoceanici per ascoltare le richieste magari bizzarre di questo o quel regista.

Ci sono definizioni folgoranti: schizofrenia di compositore, capacità di capire il film…meglio dello stesso regista, insospettabile “atletismo” in studio di registrazione (ed è splendido, a proposito, l’inizio del film con metronomo e stretching). Fino alle parole di Bernardo Bertolucci: “Ennio era capace di creare un film parallelo”.

Quella scorre è una storia del cinema a più alto livello. Ma al contempo balza all’occhio, e all’orecchio, che tanti capolavori non sarebbero così scolpiti nella nostra memoria se non ci fossero state ad accompagnarli proprio “quelle” musiche. Se la cosa può sembrare evidente per i western (che genialità la musica del coyote!), lo è anche per un film che sarebbe stato di per sè straordinario come “C’era una volta in America”, con l’indimenticabile inserto del flauto di pan per una delle scene chiave.

E’ come se nel musicista Morricone si celasse uno Zelig, capace di diventare più verdiano di Verdi per Bertolucci, con lo stesso talento che lo aveva portato a comporre “Se telefonando” per Mina o a “drammatizzare” l’inizio della canzonetta morandiana “In ginocchio da te”. Ha prima inventato l’arrangiamento negli anni alla RCA per la musica leggera, ma è soprattutto col cinema che è avvenuta la fusione – mai fredda – con le immagini, a volte con assonanze perfette. E a volte con dissonanze altrettanto memorabili: ad esempio il carrilon che accompagna l’imprevisto arrivo di una carrozzina sul luogo che di lì a poco si trasformerà in sanguinosa sparatoria, nella stazione di “The Untouchables”.

Andatelo a vedere, andatelo a ascoltare. E vi verrà nuova voglia di Cinema, vi verrà nuova voglia di Musica. Vi verrà nuova voglia di fare e anche nuova voglia di vita: grazie a un regista che ha saputo farsi da parte per regalarci 150 minuti di amore per il cinema e grazie a un grande compositore che non c’è più ma la cui musica continuerà ad emozionare per tanti decenni.

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