Un po’ l’amore per il pallone del bambino che è in noi. Un po’ la vecchia passione rossonera riaccesa nel seguire lo straordinario lavoro di due parmigiani che ho conosciuto bene e che stimo da tempo: Stefano Pioli e Giacomo Murelli. Un po’ la curiosità del mio mestiere, per vedere e capire una delle poche feste collettive di questo biennio cupo. Così ieri pomeriggio ho seguito per un po’

la manifestazione di gioia calcistica che ha bloccato e coinvolto Milano, o quanto meno la parte rossonera che festeggiava lo scudetto del calcio.

Milano capitale, visto che l’anno scorso era toccata all’Inter e che gli stessi nerazzurri hanno sperato nel bis fino a domenica, oltre a vincere gli altri due trofei in palio quest’anno. L’eterno fascino dello Sport, dove vittoria e sconfitta non arrivano mai solo per caso e lasciano comunque tanti insegnamenti. Nel caso di Pioli, si sarebbe dovuto parlare di un lavoro eccezionale anche in caso di secondo posto, ma ovviamente fra primo e secondo qualche differenza c’è…

Un tuffo nello sport come lezione di sacrificio, quindi: uno scudetto come frutto di un lavoro paziente ed umile per circa due anni, con in più appunto la soddisfazione di vedere quelle firme parmigiane, nel segno di una tradizione della vera Parmigianità, che per me è quella dei Cantarelli della ristorazione, delle sorelle Fontana nella moda, e nel calcio è quella dei Bruno Mora, Alberto Michelotti, Eugenio Bersellini, Ernesto Ceresini, Carlo Ancelotti (quest’ultimo rappresenta addirittura il bello del parmigiano-reggiano, inteso non solo come formaggio…).

Insomma: per un po’ ho guardato a quella festa di popolo come a qualcosa di positivo, di incoraggiante, di stimolante per ognuno di noi. Certo, qualche caduta di gusto qua e là affiorava, negli striscioni del tifo inquadrati lungo il percorso. Poi peròuno di quelli striscioni è finito in mano ad alcuni giocatori, sul pullman del trionfo: “La Coppa Italia mettila nel culo”, riferito evidentemente ai cugini dell’Inter che si sono “limitati” a vincere Coppa Italia e Supercoppa. Doppiato poco dopo da uno sbefeggiante striscione per l’allenatore del’Inter, Inzaghi.

Lì ho spento, deluso. Capisco la festa e l’essere su di giri, ma campioni lo si è anche e soprattutto fuori dal campo, tanto più quando sei sotto gli occhi di decine di migliaia di persone come ieri. Chiamiamola ragazzata, chiamiamola semplice scivolata di gusto… Ok, ma sono contento che la procura FIGC abbia subito aperto una inchiesta e che eventualmente possa scattare qualche squalifica: i giocatori interessati, se sono intelligenti, capiranno il loro errore e forse ne faranno motivo di crescita, se davvero vogliono maturare e vincere ancora.

L’episodio fa il paio – anzi fa…il triplete – con gli incidenti sugli spalti a La Spezia e con i cori razzisti dei tifosi laziali verso uno steward di colore. Per non parlare dello schiaffo a una giocatrice di un allenatore di basket.

Lo Sport, l’ho detto all’inizio, può essere meraviglioso: non solo come gioco ma anche e soprattutto come insegnamento di vita. Ma proprio per questo va maneggiato con molta cura. Io spero che Paolo Maldini e lo stesso Stefano Pioli, finita la sbornia della festa, riflettano e facciano riflettere i loro giocatori su questo. E su un altro aspetto, che non ritengo esagerato accostare: ieri in Italia non era un giorno qualunque, perchè era il 23 Maggio. Trent’anni prima, quel giorno l’Italia era sotto choc per la strage di Capaci. Ecco: ricordiamoci tutti, e lo ricordino anche i giocatori e i tifosi della festa e degli striscioni di ieri, che i veri Campioni sono quelli di 30 anni fa che hanno giocato una partita in cui era in palio la loro vita. Proprio per quello, a tutti noi tocca quanto meno di interpretare nel modo migliore i nostri ruoli, più o meno piccoli: per noi e per l’esempio che in qualche modo trasmettiamo ai nostri figli e a tutti gli altri. Almeno di quello (e possibilmente di molto altro) oggi tocca a noi essere Capaci…

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