Ora che non c’è più, ora che quel suo scrivere dal sapore antico eppure affascinante non ci fa compagnia ogni domenica sulla sua Gazzetta della sua Parma vista da Milano, si capisce davvero che cosa è stato nel giornalismo nostro e anche nazionale Giorgio Torelli. Le sue parole uscivano pubblicate come se

fossero passate sotto la schiuma da barba e il rasoio all’antica dei
barbieri all’antica: i suoi erano articoli ben rasati e profumati, in un
panorama spesso omologato e affrettato, dove il gusto del vocabolario appare
spesso superfluo.

Così, ho ripescato dagli scaffali due pubblicazioni che di Torelli dicono
tanto. Una è su di lui e con lui (Cacciatore di buone nuove, di Samuele Pinna).
Racchiude tanto dei suoi viaggi e della sua prestigiosa carriera, ma
soprattutto ci spiega una “poetica” che forse non ha eguali in nessun
giornalista di fama.

Giorgio Torelli cercava davvero il buono. Che è anche di più delle “buone notizie”
di cui talvolta il giornalismo si occupa, anche se spesso con l’impressione di
farlo come di un qualsiasi altro filone adatto a vendere (e le buone notizie
forse non sono il modo più immediato per vendere…). Torelli, come scrive in
appendice Maria Barbieri, è stato un “curioso delle belle anime”, e quando
Montanelli sottolineava che “Giorgino ci porta buone notizie” credo che davvero
non si riferisse solo all’efficacia del suo lavoro ma al fatto che quelle buone
notizie portassero – a Montanelli come al lettore – una quasi quotidiana
consolazione.

Allergico alla supponenza di tanta parte della categoria giornalistica, se
ne difendeva con due armi solo apparentemente in contraddizione: Fede (F
maiuscola) e ironia (i minuscola, ma legame con la Parmigianità di nascita e di
appartenenza, fondamentale per rapportarsi con il prossimo a qualunque
latitudine). Da lì sono venuti i suoi racconti spari per il mondo e poi
restituiti alla testata che in quel momento lo ospitava, con un legame intensissimo
con i lettori.

Fede, ironia, ricerca del buono, affetto da parte dei lettori: ecco perché,
subito dopo, mi sono letto anche “I baffi di Guareschi”, col quale Torelli
descrisse Giovannino nella sua opera spesso geniale ma anche e soprattutto
nella sua umanità. In entrambi i casi, e in tutti i sensi, scrittori coi baffi.
Che ci parleranno ancora a lungo.

 

Please follow and like us:
Pin Share