Centosessantotto anni dopo. Quale segreto, quale magìa può portare circa 5mila persone a radunarsi per ascoltare una musica datata oltre un secolo e mezzo e a sua volta pensata sulla traccia di un romanzo di cinque anni precedente…?

La luce del tramonto già ripaga il prezzo del biglietto ed è il primo spettacolo che incanta, sulle gradinate della stupenda Arena di Verona…

La Traviata di Giuseppe Verdi, secondo una statistica pre-Covid, viene recitata più di 3mila volte l’anno nei teatri di tutto il mondo. E gli accenti inglesi o soprattutto tedeschi che si uniscono fra il pubblico a quelli italiani confermano questo fascino straordinario e planetario: non si può quindi non provare quanto meno ad accostarsi – pur senza la profondità dei melomani – a questo “eterno” amore per musiche nate nella nostra terra (e anche una visita a Villa Sant’Agata, dopo aver visto in più occasioni il modesto “abituro” di Roncole Verdi dal quale “la prima aura spirò il musical genio”, sarà d’obbligo).

La vicenda di Violetta è nota anche ai non appassionati, ad esempio per aver fatto sgorgare famosissime lacrime cinematografiche (Julia Roberts in Pretty woman), Ma anche a un primo e impreparato ascolto, fin dal preludio la musica struggente penetra nell’anima. Prima di lasciare il posto al gioioso valzer del celeberrimo Libiamo ne’ lieti calici.

Non tutti e non sempre hanno attribuito a Traviata il valore del capolavoro: vi fu chi parlò di lavoro “di bottega”. Quel che però appare chiaro da subito è l’immersione verdiana nell’opera di Alexandre Dumas figlio: e anche un profano non può non cogliere quanto la musica riesca continuamente, insieme al libretto di Piave, a rendere la drammaticità, le contraddizioni e l’angoscia nobile dei sentimenti in gioco nel dramma di Violetta.

La gioia dei due innamorati lascia il posto all’intervento di Germont padre, che muta radicalmente la situazione, fino a quel potentissimo “Piangi” che quasi racchiude in un verso l’intera storia. E proprio “Pianse ed amò per tutti” fu del resto la sintetica e validissima definizione di D’Annunzio su Verdi.

Ma non serve proseguire in dettaglio qui con le vicende di Traviata o aggiungere ingenue e banali sensazioni personali: a teatro, su cd e dvd o anche semplicemente su You Tube o Spotify vi potete comodamente sbizzarrire a vedere/ascoltare l’opera intera, o a mettere a paragone questo o quel direttore, o a confrontare Callas e Tebaldi… E ha probabilmente ragione chi dice che a Traviata non servono attualizzazioni registiche, perchè l’opera ha già in sè e nella sua ambientazione in quel preciso periodo storico tutta l’universalità che musica e testo possono ancora regalarci.

E allora sì: pur nella lontananza che il genere dell’opera lirica potrebbe mostrare a noi del terzo millennio, ti accorgi nota dopo nota che in quella musica e nelle invenzioni del Genio di Busseto c’è qualcosa che ci parla e ci emoziona ancora, e che può unire e portare qui (insieme alle bellezze della splendida Verona) migliaia di persone di tutte le età e di nazionalità differenti. Al di là dei meriti del cast, comunque applauditissimo ad iniziare dalla giovane protagonista praghese Zuzana Makova, il miracolo del Melodramma si è ripetuto: e soprattutto per noi di Parma, dove quelle musiche sono nate, studiare e conoscere diventa quasi un dovere.

Liliana Cavani, che di Traviata curò una regìa, disse alcuni anni fa che “Verdi andrebbe insegnato nelle scuole”. E probabilmente questo è ancor più vero oggi, perchè nulla è più prezioso – nella complicatissima Babele attuale – di ciò che sa ridurre il mondo a una sola affascinante lingua. Nell’incanto dell’Arena veronese, viene davvero da pensare che al nostro Paese siano stati affidati per questo compito tanto Genio e tanta Bellezza. E a maggior ragione ciò vale qui a Parma, dove uno dei compiti del Festival Verdi dovrebbe essere quello di trovare la chiave comunicativa per divulgare nel modo più ampio la potenza geniale che rende quelle storie in musica ancora immortali.

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