Leggere un libro firmato da psichiatri, nel pieno di una pandemia che ancora non siamo riusciti a placare, sembrerebbe volersi fare del male, per dirla con una battuta. Oppure, più seriamente, sembrerebbe volersi immergere in una specialistica nicchia. E in parte

è così per “Il segno della pandemia. Effetti psicologici e sociali”, un libro a cura di Pietro Benassi e Stefano Mazzacurati che riunisce esperienze e sguardi “privilegiati” (le virgolette sono qui davvero d’obbligo) sulle fragilità e le vulnerabilità che il coronavirus ha ri-aperto in tante persone. Lettura interessante anche per la scoperta di una cosa che non conoscevo: il progetto e il percorso già avviato dell’Associazione per il Museo e la Storia della Psichiatria. Una iniziativa che fa capo a Reggio. Ma in una città che proprio recentemente ha dato alle stampe un bel libro sulla psichiatria (” La relazione che cura. Le voci della salute mentale a Parma”, a cura di Laura Ugolotti e Donatella Carpanese che fa seguito a “Bisognava provarci”) sarebbe interessante vedere unire questi sforzi, perchè la psichiatria e la sua storia hanno tanto da dire a tutti noi.

Ma torniamo a noi, perchè accanto alle pagine e ai passaggi che inevitabilmente coinvolgeranno soprattutto gli addetti ai lavori, il libro curato da Benassi e Mazzacurati ha sua volta molti spunti interessanti per chiunque lo legga. A partire dal “rovesciamento” col quale potremmo e dovremmo guardare alla pandemia: una dura prova, certo, ma anche una opportunità. Un occhio all’oggi e un occhio al dopo: non più nella illusione di breve durata del “tutto andrà bene”, ma cercando la propria personale risposta. Come davanti a un’opera d’arte: paragone ardito, ma fondamentale per chi opera in questo serttore e in fondo anche per noi stessi. Sarà un’operazione necessaria, ad esempio, per tarare bene quell’iperconessione virtuale che è stata un’àncora di salvezza durante i lockdown ma che ora potrebbe perpetuarsi come distacco dalla realtà, per i giovani e non solo.

Nelle pagine sfilano anche – seppur ovviamente protette – le storie delle persone che in vario modo hanno reagito e hanno affrontato (o subìto) la pandemia. Capiamo anche l’importanza che può avere in situazioni come queste la Letteratura, capiamo anche la valenza della “terapia delle piccole cose”. Per tutti: perchè anche l’operatore può trovarsi a confessare la nostalgia per lo studio ora vuoto, reinventandosi a sua volta nelle voisite via Skype.

Ecco: la cosa che più mi ha colpito nel libro è il senso di coinvolgimento (in un certo senso il contrario di ciò che temevo in un libro “specialistico”). Ci sono riflessioni utili a tutti perchè gli autori – pur senza mai abdicare al loro ruolo – non nascondono a loro volta qualche fragilità o dubbio, e ci riportano serenamente a quel punto di partenza. Sì: stiamo vivendo con la pandemia una prova davero complicata, ma anche una importantissima opportunità.

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