Ed è stata davvero un’esperienza inedita e intensa. Il film visto “alla moviola”, con una (psico)analisi ragionata dei vari passaggi e della concatenazione fra le scene. Una lettura tanto più importante quanto più è evidente (e da lui stesso sempre riconosciuto) il contorno del cinema di Bernardo Bertolucci: dai rapporti col padre poeta alla lettura del rapporto uomo-donna.

Intanto una osservazione: anche rivisto, Ultimo tango è un film splendido proprio da vedere. La fotografia di Parigi nelle riprese eseterne e dei predominanti interni della vicenda regala immagini meravigliose, che renderebbero il film interessante anche se – per assurdo – mancasse l’audio. Ma una lettura psicanalitica, ovviamente, è incentrata soprattutto sui comportamenti: sulla verbalità, sul linguaggio dei corpi, ovviamente sul sesso che tanta importanza ha nella storia. E qui più che mai su Eros incombe Thanatos, con una morte che precede il film e una che la conclude.

Così, guidati dalle preziosissime chiose di Maria Grazia Mazzali, ci si rende conto 47 anni dopo delle due assurdità che accompagnarono il film: il ritenerlo una pellicola oscena e limitata al messaggio del sesso (quasi fosse una delle tante pellicole pecorecce e di serie B di quegli anni ’70) senza coglierne le riflessioni spesso disperate su vita e morte; e soprattutto quella medievale censura che portò alla condanna al rogo del film. Letteralmente: tanto che se oggi possiamo ancora vedere Ultimo tango è solo perchè Bertolucci riuscì ad ottenere che una copia fosse conservata negli archivi della Cinoteca nazionale, anche se ci vollero ancora diversi anni prima che la proiezione del film potesse essere sdoganata e riconsegnata alla legalità, oltre che alla Cultura.

Già: perchè di Cultura si tratta, al di là di ogni riduttiva lettura di allora e di oggi. E solo domenica ho capito appieno la geniale intuizione di quel grande giornalista (nonchè critico cinematografico) che fu Baldassarre Molossi. Il quale, all’uscita di Ultimo tango a Parma, non solo decise di parlarne in prima pagina, ma lo definì – a sorpresa e forse provocando a sua volta scandalo – un film “casto”. La lungimirante veduta di un giornalista raffinato e geniale, che oggi trova conferma nella bella iniziativa di un piccolo cineclub che però porta un grande contributo alle riflessioni cuolturali di Parma 2020.

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