Arrivi e vedi ovunque quei due. Nelle insegne, nelle statue della piazza, nelle immagini, sulle magliette e sulle bottiglie di vino… Perfino troppo, come
ho scritto in senso costruttivo nell’ultimo libro: ma è innegabile che in nessun luogo come a Brescello ci si senta, come recita il cartello all’ingresso della cittadina, nel “Paese di Don Camillo e Peppone”.
Sì. Il Mondo Piccolo che nacque nella Bassa parmense da uno scrittore di Fontanelle poi trasferitosi a Roncole Verdi, passando per Milano, trova vita soprattutto sulla sponda reggiana. Non senza motivazioni: siamo infatti comunque in riva al Po, e soprattutto Brescello è il luogo che ha consegnato al pubblico Don Camillo e Peppone nella loro versione cinematografica, determinante nel favorire la fama planetaria dei personaggi di Giovannino Guareschi (al quale, a sua volta, è intitolata una centralissima locanda…).
Come ho detto ieri ai brescellesi che ho incontrato, c’è forse l’iniziale impressione di un eccesso di merchandising (Don Camillo è diventato anche…noleggiatore di biciclette), ma contemporaneamente si resta conquistati da come i reggiani – anche qui – si siano dimostrati concreti e quadrati (ma nel senso positivo del termine) nel rendere attuale ed efficace un richiamo che ormai data quasi 80 anni e potrebbe sembrare superato.
Allora, prendendo spunto dal 35° anniversario del Museo di Peppone e Don Camillo (in realtà i musei sono due, come vedremo), eccovi una fotocronaca ammirata di come di là dall’Enza abbiano saputo coltivare e far fruttare il mito guareschiano nella parte che toccò a loro grazie ai popolarissimi film. E alla fine vi chiederete che cosa saprebbero fare, ad esempio, di Roncole Verdi, dove quell’eredità guareschiana convive a pochi metri con quella ancor più grande e universale della casa natale di Giuseppe Verdi…
La domenica di celebrazione iniziava alle 10,30. C’è stato quindi il tempo di passeggiare anche nel parco che a Guareschi è dedicato, con un busto che si trova di fianco – e questa è la prima scena da fiaba – di una locomotiva immersa fra le…margherite.
Seconda tappa è la piazza. E’ ad essa che Brescello e i film di Don Camillo e Peppone devono la loro fortuna: dopo alcuni infruttuosi tentativi nel Parmense, infatti, il regista francese Julien Duvivier si innamorò di questa piazza (intitolata a Giacomo Matteotti) perché aveva la caratteristica da lui cercata: cioè la convivenza di Municipio e Chiesa, che si guardassero e si fronteggiassero, ora in cagnesco ora in collaborazione. E’ ancor oggi così, ma allo stesso tempo la piazza è ora un tripudio guareschiano: il Caffè Don Camillo si contrappone al Caffè Peppone; le vetrine sono quasi completamente dedicate ai due e come dicevamo campeggiano su ogni tipo di oggetto, comprese però anche tante affascinanti cartoline o foto con le scene dei film e con alcune interessanti pubblicazioni su Brescello ieri e oggi, proprio a partire dai luoghi del cinema.
Una cosa che colpisce è il numero dei turisti che si succedono per foto di gruppo o selfie accanto alle due statue che a loro volta si fronteggiano nella piazza: don Camillo è sul sagrato della chiesa, e dalla parte opposta Peppone sembra salutarlo deferente togliendosi il cappello.
Il vero miracolo (la parola non è fuori luogo) è però all’interno della chiesa. C’è in corso la Messa, ci sono come in ogni chiesa gli arredi sacri, ma molte visite si dirigono subito nella cappellina a sinistra dove il crocifisso è però un crocifisso “finto”: non era infatti nato per una chiesa ma è quello usato per le riprese del film. Il parroco brescellese di allora ebbe l’intuizione di farselo dare, a riprese ultimate: e così la prima meraviglia, che sua volta sembra una storia da Mondo piccolo, è che un pezzo di cinema in qualche modo si è trasformato in oggetto di culto. Quale migliore consacrazione (anche qui la parola è davvero la più adatta) per uno scrittore che tanti considerano ancora di serie B ma che è fra i pochi capaci di inserire fra i suoi personaggi, e con questa credibilità ed efficacia, nientemeno che Gesù Cristo, sotto forma appunto di crocifisso parlante…?
Basterebbe già questo, per tante riflessioni su Guareschi e sul suo spessore, toccando con mano la sua popolarità a ormai 80 anni da quelle invenzioni letterarie. E solo in questo magico clima da Mondo piccolo può capitare che una libreria-edicola reggiana accetti di esporre il libriccino “Chiedi chi era Guareschi” sul quale campeggia (oltr’Enza) il logo della collana “Non è mai troppo Parma”… E da oggi lo trovate anche nel Museo.
Ma nel frattempo sta iniziando in un’altra piazza la cerimonia per i 35 anni del Museo, e oltre ai tanti che stanno prendendo posto c’è una interminabile fila per lo speciale annullo filatelico creato dalle Poste per questa occasione. E’ interessantissimo ascoltare il collega giornalista Andrea Setti, che ebbe un ruolo importante nella divulgazione del progetto-Museo insieme allo storico direttore della Gazzetta di Reggio Umberto Bonafini, che un giorno ebbe l’intuizione di credere in quel progetto e lo chiamò al telefono per dirgli (improvviso la grafia reggiana che non conosco) “A fòm ‘na pagina!”. Una pagina di Gazzetta che in qualche modo è nella storia di Brescello, ma che anche ci ricorda quanto il Giornalismo di razza possa essere a volte provvidenziale per far planare la Cultura su un piano condiviso e concreto”.
Dopo Setti il microfono passa al sindaco, Carlo Fiumicino. E qui c’è davvero una lezione di coesione comunitaria e di turismo culturale che farebbe un gran bene anche dalle nostre parti, dove invece a volta siamo più bravi a dividerci… La premiazione dei protagonisti di allora e di oggi della storia del Museo, con gli applausi sinceri e riconoscenti del pubblico, è il segno di una gratitudine che il sindaco estende poi alla riconoscenza che il paese sente di avere per Don Camillo e Peppone, per registi e attori (qua e là ci sono foto bellissime dei fuoriscena dei bravissimi Fernandel e Gino Cervi) e ovviamente per Guareschi.
La cerimonia pubblica ha anche qualcosa di strano: lo scenario. Già, perchè ho dimenticato di dirvi che in quella piazza le scritte sono in…cirillico e che c’è anche un monumento al soldato sovietico: non per nostalgie fuori tempo, ma anzi proprio per fermare quell’epoca. Anzi, a certificare la voglia di superare per sempre quel clima da guerra fredda, sul balcone del Museo sventolano insieme e quasi intrecciate le bandiere di Stati Uniti e Unione sovietica. E il migliore omaggio all’opera di Guareschi è nelle parole che campeggiano sotto la foto di scena di Don Camillo (col colbacco) e Peppone: “Le storie uniscono ciò che i muri hanno diviso”.
I due Musei si fronteggiano: uno è felicemente abbinato all’Ufficio Informazioni turistiche: l’altro confina col parco guareschiano descritto all’inizio, ma è stato accoppiato anche al Museo archeologico, così che il visitatore ha modo anche di tuffarsi nella Storia e di ammirare alcuni interessantissimi reperti.
Storie piccole? Mica tanto: se è vero che Brescello ha anche altro di cui vivere (vedi Immergas, vedi anche una bella storia di calcio), è sotto gli occhi che Don Camillo e Peppone diano anche da mangiare. E, viceversa, consentono di dar da mangiare ai tanti che arrivano (se ho ben capito si arriva alle 40mila visite all’anno). Poi noi parmigiani possiamo continuare a sorridere se loro lo chiamano “gnocco fritto”, ma la verità è che i tavolini di bar e ristoranti sono pienissimi: e questa è una vera e concretissima lezione di turismo culturale, che poi ovviamente diventa anche turismo gastronomico.
Baciata dal sole, la giornata sta però iniziano a lasciar posto a un cambio di clima: ci saranno allora altre occasioni per completare la passeggiata fino alla cappellina costruita per il film e poi rimasta nell’arredo urbano (e in qualche modo sacro) della zona. Però intanto si può ammirare la geometria verde dei pioppeti e delle altre alberazioni verso gli argini. E c’è anche un grande murale, a sua volta dedicato ai due personaggi di questa saga immortale. Poi, uscendo dal Paese e riprendendo la strada di Parma, l’occhio cadrà ancora sulla rotatoria con le sagome dei due protagonisti guareschiani e sull’insegna del non piccolo Hotel Don Camillo. Chi lo diceva dunque che con la Cultura non si mangia…? E chi non capisce che affidarsi ai valori guareschiani possa essere utile anche per vigilare contro quel male che a Brescello come a Reggio e Parma aveva colpito e può tornare a colpire come abbiamo visto con Aemilia?
Resta però da raccontarvi la scena più bella e più follemente magica. A Brescello, infatti, c’è anche un carro armato. che a fine cerimonia si è messo in movimento. Fa impressione trovarsi sulla sua traiettoria e vederlo avanzare con il segno dei cingoli sull’asfalto: è una purtroppo attualissima macchina da guerra, ma è qui che i Brescellesi (e Guareschi) hanno saputo costruire un’altra favola. Sulla fiancata del carro armato, infatti, campeggia una scritta che lì appare ancor più significativa ed efficace, nella sua essenza elementare: Abbasso la guerra e W la pace!
Lascia un commento