Ci vuole il coraggio o l’intelligenza di Roberto Ceresini (o tutti e due insieme), per organizzare di questi tempi un incontro sul Sessantotto in libreria. “Saremo in quattro gatti”,

ci siamo detti alla vigilia temendo la classica e sterile serata di reduci.

Oddio, la ressa in via Farini in effetti non c’era. E fra i presenti (già comunque più numerosi del preventivato) non figuravano liceali… Eppure non ce n’è stato uno che alla fine abbia parlato di tempo buttato via.

Merito dei due relatori: Piersergio Serventi e Luciano Mazzoni non sono solo due politici seri e da sempre stimati anche dagli “avversari”, ma anche e soprattutto due persone che al “semplice” impegno amministrativo hanno sempre affiancato una visione più ampia e più alta, capace di contaminarsi (nel senso positivo del termine) anche con altri temi, come ad esempio la religione. E fra tante “parmigianità” tarocche o ingigantite, quella del Sessantotto ha una sua concreta specificità proprio in quanto la protesta universitaria che caratterizzò quei mesi in tutta Italia fu affiancata, ed anzi preceduta, da un percorso legato ad istanze e dissensi del mondo cattolico. Il che significava l’ambiente fisico – e popolatissimo – delle parrocchie, ma con la parallela attenzione a quanto di politico stava avvenendo nel mondo (Vietnam, uccisione di Bob Kennedy, Maggio francese, invasione sovietica della Cecoslovacchia…). Per non parlare della musica, presente a sua volta come parte integrante del dibattito grazie alla voce e alla chitarra di Alberto Padovani.

Te ne accorgi subito, specie se sei il moderatore, se le parole dei relatori colpiscono o annoiano i partecipanti. E ieri sera nessuno si è alzato prima del tempo, che anzi si è protratto ben oltre il preventivato. Si è parlato della clamorosa occupazione della Cattedrale, si è parlato di personaggi fondamentali dei decenni recenti quali Mario Tommasini e don Dagnino e don Moroni, o del più volte evocato (ed oggi in Appennino ma non più per “punizione” come allora) don Pino Setti. Si parlato di studenti e di operai: questi ultimi, con la crisi della Salamini, furono loro malgrado anticipatori dei temi del successivo autunno caldo. Si è parlato di errori e di cose da conservare: e l’iniziale disincanto di fronte alla politica odierna si è pian piano trasformato in permanente voglia di condividere le passioni di allora con i giovani di oggi. Uno di loro è anche intervenuto con parole importanti, e chissà se qualcosa è arrivato alle orecchie e al cuore di qualche altro giovane che si aggirava fra gli scaffali della libreria.

Già bastava tutto questo, per pensare davvero a un pomeriggio non sprecato. Ma poi ci si è concretizzata davanti agli occhi una inattesa metafora. E’ intervenuto, a sua volta con parole preziose e dal contenuto in parte inatteso, Lino Cardarelli, oggi 90enne, ex manager fra i più importanti d’Italia: è stato infatti alla guida della Montedison. E mi è sembrato quasi magico che un manager Montedison avesse avvertito il richiamo di un dibattito sul ’68 nel quale poco prima, e senza certo prevedere la sua presenza, era stato evocato (anche per il suo straordinario film sul Vangelo) Pier Paolo Pasolini. Ovvero colui che pochi anni dopo il Sessantotto, per descrivere il disastro spirituale che la nuova società del benessere capitalistico stava provocando nell’Italia fin lì contadina e rispettosa della sacralità della vita, scelse come simbolo la scomparsa delle lucciole dalle nostre campagne. E a chiusura di quello straordinario articolo aggiunse che “ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola”.

Magìa di una stagione di Utopie, lontanissima eppure ancora necessaria ai nostri sogni e alla nostra voglia di cambiare un po’ di Mondo. E ora che abbiamo rotto il ghiaccio, facciamo in modo che non finisca qui…

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