E’ doppiamente istruttivo immergersi nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. Le librerie hanno in bella mostra i tantissimi libri e saggi che si stannpo dedicando a questa ricorrenza, e comunque la si pensi ci sono davvero mille spunti ancora attualissimi nell’analisi pasoliniana dell’Italia, nonostante anche dalla sua morte sia ormai trascorso quasi mezzo secolo. Ma allo stesso tempo

la (ri)lettura delle cose scritte da Pasolini e su Pasolini nei decenni scorsi rivela anche tante situazioni datate, in certi casi anche imbarazzanti.

Una di queste riguarda anche “casa nostra” e lo scrittore di Parma più popolare (più precisamente nacque a Fontanelle) : quel Giovannino Guareschi che con la saga di Don Camillo e Peppone resta lo scrittore italiano più letto e tradotto dopo il Collodi di Pinocchio. Lontani e quasi opposti dal punto di vista delle idee, Pasolini e Guareschi si incontrarono…a distanza nel 1963, quando il produttore Gastone Ferranti decise di affidare ai due un commento parallelo e contrapposto dello stesso materiale di cinegiornali dell’epoca, che diede vita al film-documentario “La rabbia”.

Un’operazione singolare, che però fallì miseramente, soprattutto perchè Pasolini arrivò quasi a rinnegare quell’opera, o meglio la coesistenza con la parte guareschiana. Ci sarà modo di riparlarne più in profondità nei prossimi mesi, ma ciò che voglio raccontarvi oggi si lega a una piccola e diffusissima pubblicazione degli anni ’70: “il castoro cinema”. Piccoli ma preziosi libriccini quadrati e quasi tascabili, editi da la Nuova Italia e dedicati monograficamente ogni volta ai principali registi italiani e stranieri.

Leggendo in questi giorni libri e articoli su Pasolini con un occhio particolare proprio per quell’incrocio con Guareschi, scrittore di cui mi sto occupando da qualche anno, sono andato a riprendere in mano proprio il “castoro” su Pasolini che acquistai nel 1974 (prezzo 7.500 lire, come mi ricorda la copertina, allineata con le altre che mi aiutarono a conoscere Truffaut, Rohmer, Fellini…). Ed è davvero triste scoprire che quel libretto, che in copertina porta la firma di Sandro Petraglia, contiene affermazioni che definire imprecise e superficiali è decisamente un eufemismo.

Arrivando a “La rabbia” nella filmografia pasoliniana, infatti, su quel “castoro” si legge che il film “non è mai stato programmato, a causa della seconda parte dichiaramente reazionaria, atto di fede in una supposta ideologia nazista, affidata alla regia di Guareschi…”. E non bastasse, l’autore aggiunge poche righe dopo che Pasolini sbagliò – per “ingenuità politica” – ad accettare quell’operazione con “una banale fiducia nelle possibilità della dialettica: anche con i fascisti!”.

Ora, di Guareschi si può dire e scrivere tutto. Ma attribuire “ideologia nazista” a chi per due anni fu prigioniero nei lager nazisti di Polonia e Germania è una bassezza, prima ancora che essere superficialità di studioso. Idem per quel “fascisti!” con tanto di punto esclamativo, visto che Guareschi nel lager finì proprio per avere rifiutato di schierarsi – dopo l’armistizio dell’8 settembre – con le SS naziste o poi con la repubblica fascista di Salò.

A Sandro Petraglia, che se vedo bene da facebook oggi ha 74 anni e ha lavorato anche dalle nostre parti con i “Matti da slegare” di Bellocchio, consiglio la lettura di Diario Clandestino e Favola di Natale. Probabilmente non cambierà idea sulle idee politiche di Guareschi in generale, ma capirà che l’uomo Guareschi merita di essere conosciuto assai meglio. E certamente Giovannino Guareschi non può essere tacciato nè di nazismo nè di fascismo.

Ma anche di questo avremo modo di riparlare…

IL CASO GUARESCHI: un libro e un progetto. Guarda qui

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