Questa volta dobbiamo un doppio grazie alla Rai: come spettatori e come parmigiani, perché
innanzitutto lo speciale sul caso Carretta trasmesso ieri sera da Raidue è stato un bell’esempio (e non capita sempre) di servizio pubblico. Ma anche perché la trasmissione, anche grazie ai tanti contributi raccolti qui, ha consegnato alla città una triste e lacerante eredità da non rimuovere, se vogliamo crescere.
Delitti in famiglia, questo il titolo della trasmissione, ha ricostruito la cronaca della più lunga storia di cronaca nera di Parma in modo ineccepibile, da manuale del giornalismo di cronaca. Non si è taciuto nulla: dalle prime ipotesi sul paradiso dorato e su presunti fondi neri aziendali che si ipotizzavano nella disponibilità del cassiere Giuseppe Carretta, ai disagi familiari e psichici di Ferdinando, culminati nel momento in cui gli prese di defecare in salotto e in quel frangente venne scoperto e aspramente rimproverato dal padre.
Né inquirenti né giornalisti hanno rinnegato i propri abbagli: o meglio, hanno ricordato come molti elementi, soprattutto all’inizio, andassero davvero nella direzione della sparizione volontaria, Anche se è stato giustamente ricordato l’intuito dell’allora giovane e semisconosciuto magistrato che era di turno a Milano la sera del ritrovamento del camper (grazie alla trasmissione Chi l’ha visto?) e che da subito intuì invece che ci si trovava davanti a una tragedia e a degli omicidi: Antonio Di Pietro.
Nove anni di ipotesi, piste false, nuovi abbagli: fino al quasi incredibile epilogo londinese. Prima la scoperta che Ferdinando era vivo grazie ad una banale infrazione stradale, poi i primi incontri con gli inquirenti italiani, la notizia che arriva alla Gazzetta di Parma e diventa scoop da edizione straordinaria cittadina e poi viene rilanciata da tutti i media, finché si arriva alla inedita e raggelante prima volta di un omicidio collettivo confessato in tv prima ancora che agli inquirenti, grazie al lavoro dell’inviato Rai Pino Rinaldi (che a Parma sarebbe tornato 8 anni dopo per sottoporre stavolta a una “dimostrazione di innocenza” il padre del piccolo Tommy, nei giorni del sequestro del bambino e dei pesantissimi sospetti proprio sul genitore).
Da Londra il ritorno in Italia, le confessioni formali, il processo che certifica senza ombra di dubbio la incapacità di intendere e di volere, che sarà prologo alla quasi inaccettabile vicenda dell’eredità, che consentì a Ferdinando di tornare in possesso proprio della casa nella quale aveva consumato la folle strage. Le immagini del sangue rinvenuto (9 anni dopo!) dai Ris, che allora si chiamavano Cis, vengono illustrate dall’ex comandante Garofano, e sembrano fugare quei dubbi che molti continuarono ad avanzare (e tuttora qualcuno lo fa) sulla versione della strage, continuando a credere alla fuga dorata degli altri tre Carretta.
Credo invece che l’accurata ricostruzione di ieri sera ci lasci davvero tanta tristezza e tanta angoscia, sulla fine di questa famiglia e su come il tessuto sociale di una città possa aiutare, intervenire, prevenire. Forse le radici di quella tragedia affondano nella vergogna del rivelare un problema, o nell’illusione di poterlo governare. Lo sguardo dallo schermo di Ferdinando, che insieme ci spaventa e ci spinge alla pietà, ci ricorda quanto la mente umana possa essere debole e complicata. E ci ricorda che anche la nostra bella città, che alcune riprese aeree esaltavano in alcuni tratti del racconto, può nascondere terribili angoli di buio.
Per vedere la trasmissione su Raiplay: https://www.raiplay.it/video/2023/11/Delitti-in-famiglia-Il-caso-Carretta-65e86843-c0e0-4222-8ade-9796c1859ed0.html
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