Si tiene stretta la sciarpa, il vecchio Garibaldi. E’ a colori gialloblù, ma il rituale è il medesimo delle vecchie bandiere bianconere con croce. E’ la certificazione che

il calcio fa fare festa a tutta la città, o perlomeno a chi del calcio è appassionato.

Ma al di là dell’emozione a caldo, quanto si mescola una vittoria sportiva con le fortune della città? Quanto hanno cambiato Napoli gli scudetti e i successi anche europei da Maradona a Osimhen? E il Paese Italia ha tratto giovamenti dei Mundial del 1982 o del 2006?

Astenersi commentatori scontati e con pregiudizi, che quindi alla fine risulterebbero inevitabilmente banali e superficiali. Con loro infatti andremmo incontro a due opposti e speculari errori di valutazione: non è infatti vero che la serie A o lo scudetto nel calcio corrispondano a serie A o scudetto per una città; né viceversa è vero che una promozione in serie A riguardi solo i tifosi e anzi sia per la città un problema, magari per chi abita in zona stadio.

Se guardassimo al di là dei nostri nasi, e della nostra incapacità di confrontarci con chi la pensa diversamente, vedremmo invece che questa promozione contiene tanti elementi da non rinchiudere nel recinto sportivo, comunque la si pensi poi su altre questioni (ad esempio, appunto, lo stadio).

Innanzitutto il lavoro di gruppo. Lo si dice sempre e sembra (o a volte è) una definizione retorica, ma questa volta no: quello che ha affrontato il campionato appena culminato nella promozione in serie A, infatti, era un gruppo folto, di livello e con alcune tentazioni di fuga, magari alimentate da procuratori che ovviamente mettono al primo posto le opportunità di guadagno per i propri calciatori e per sé, attraverso commissioni a volte davvero esagerate. E quindi non era facile né scontato che di volta in volta gli esclusi si accomodassero in panchina con il sorriso, né che sapessero poi offrire un contributo importante anche da seconde scelte. Invece, una delle forze del Parma di quest’anno è stata proprio l’alternanza che l’allenatore Pecchia – da gara a gara e poi nel corso della singola partita – ha creato quasi come regola, talvolta con scelte che facevano storcere il naso a qualche tifoso.

Una coralità e uno spirito di servizio non sempre facili a crearsi, e che quindi rappresentano le prime lezioni che Parma intesa come squadra dà a Parma intesa come città, dove invece mugugni e lamentele sono spesso più frequenti che non il senso del collettivo.

La seconda lezione, anche se a sua volta apre temi più ampi, arriva dalla società a guida americana. Kyle J. Krause è stato oggetto in questi anni di vari “go home” dalle pagine social di tanti tifosi ed esperti da tastiera. Oggi che tutti festeggiano e invocano il presidente, è corretto ricordare che moltissime volte mi è capitato di leggere che con questa dirigenza, ispirata dalla filosofia degli algoritmi per scegliere gli acquisti, non sarebbe mai venuto nulla di buono… Ma a quanto pare la valutazione su Krause e sulla sua programmazione societaria va aggiunta ad altre valutazioni calcistiche di casa nostra a dir poco premature (Crespo, Ancelotti, D’Aversa…).

Certo, come si è letto in alcune interviste a docenti universitari, quei 360 milioni investiti da chi non ha qui alcuna radice affettiva non può non sorprendere: aver trovato un presidente così appassionato e generoso, oltre che danaroso, appare oggi come una grande fortuna, alla quale il nostro punto interrogativo non vuole togliere nulla. Speriamo solo, dopo alcune scottature anche recenti (es. Ghirardi) che il futuro sia altrettanto sereno, anche se qui si innesta proprio la questione-stadio che però oggi voglio lasciare ad altre sedi e a chi ha più competenze in materia di me, sia dal punto di vista economico che come impatto sulla città (peraltro abituata ormai da decenni allo stadio in centro città).

Ora resta da vedere la parte sempre più difficile nello sport: la gestione della vittoria, che spesso è ancor più insidiosa della gestione della sconfitta. E anche qui non sarà solo una storia di calcio: il Parma, e Parma con i suoi tifosi, non devono certo aspettarsi qualcosa di simile agli anni ricchi (ma “drogati”, come poi abbiamo scoperto) dell’era Tanzi, anche se è sempre giusto ricordare che alle stonature societarie non è mai corrisposta alcuna ombra sulle imprese sul campo, con anche un gioco e uno stile (simboleggiato da Nevio Scala) che si è fatto apprezzare in Italia e in Europa. E qui c’è un altro aspetto che porta al di là del contorno sportivo: il calcio, specie in quest’era televisiva e digitale, può essere per Parma un bel biglietto di promozione.

Purché anche la città, nelle sue varie componenti e nei suoi vari colori politici, sappia scendere in campo con lo stesso spirito del Parma di Pecchia, Krause e Del Prato…

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