Colpisce, commuove fino alle lacrime, stupisce. Ma soprattutto emoziona e ci sprona: ci spinge a impegnarci perché non ci siano mai più altre Giulia da piangere, mai più genitori soli, sorelle o fratelli soli, fiaccolate, fiori, cartelli e parole che non possono più cancellare il sangue, ma che possono (e devono) cambiare il mondo. Mai più! Gino Cecchettin ha fatto

una cosa difficilissima, sicuramente dolorosa, ma insieme preziosa. Ha scritto un libro sul dramma peggiore che un padre possa vivere: la morte di una figlia. Morte assassina per mano di un ragazzo, del quale Giulia si era fidata.

Non c’è una sola volta il nome di Filippo, il ragazzo omicida. Papà Cecchettin, nelle interviste di questi mesi, ha avuto parole senza odio, anche verso la famiglia e verso lo stesso ragazzo, anche se al momento non si pone neppure il problema di poter perdonare. Ma giustamente ha voluto cancellare chi ha ucciso sua figlia da questa lettera-libro che è riuscito, con una forza che da fuori è difficile anche solo immaginare, a trasformare in una testimonianza soprattutto di vita. E di speranza.

C’è Giulia per ciò che è stata, per i suoi sorrisi e i suoi sogni e per l’affetto che si era guadagnato da parte di chi la conosceva. C’è anche la moglie Monica, a sua volta strappata a marito e figli troppo presto, da un destino già crudele che poi si è di nuovo accanito (ma questa volta per mano umana) contro la famiglia Cecchettin.

Oggi Gino è un uomo schiantato e però già in piedi: che vuole essere forte per sé e per Elena e Davide. Un uomo che si è guardato dentro senza farsi sconti, per cercare anche in sé i virus di quella sottocultura maschilista che a volte sembra innocua e sembra ridursi a livello di battute, e che sicuramente è ben altra cosa dalle violenze, di qualunque tipo. Ma spesso, proprio quella sottocultura è l’humus nel quale i più violenti (che forse a volte sono i più fragili: ma questa non può essere una giustificazione) coltivano poi gli atti più inaccettabili, fino alla tragedia estrema del femminicidio.

Gino Cecchettin descrive queste figure di omicidi con parole quasi inaspettate: “un uomo talmente fragile da interpretare un rifiuto o un fallimento come un attacco alla propria individualità più profonda, quella di essere chi decide e comanda, che intende la relazione a due come un possesso e considera un rifiuto come un furto da cui essere risarcito”. “Quando sentiamo parlare di femminicidi – aggiunge – noi ci sentiamo normali, e immuni. Non è così”… E’ qui che dobbiamo lavorare: e vengono i brividi a pensare che a trovare queste parole e questa sensibilità sia un padre al quale è stata ammazzata la figlia. Mi ha fatto venire in mente la sovrumana sensibilità di Manlio Milani, che a Brescia vide la moglie letteralmente saltare in aria per una bomba vigliacca fascista, ma che ancor oggi è capace di chiedersi “se anch’io ho contribuito a quel clima quando andavo in piazza a urlare slogan violenti contro i fascisti”.

Sono letture talmente elevate, e anche quella di Gino Cecchettin lo è, che appaiono ancor più piccole e stupidamente lontane le polemiche (che ho letto purtroppo anche su ottusi social parmigiani) di chi si è permesso di giudicare e criticare il papà di Giulia per una apparizione in tv o per questa stessa idea del libro. No: invece ha fatto benissimo a scriverlo e fa bene a parlare in pubblico, di Giulia e della sua vita strappata. A spiegarci, partendo dal proprio rimpianto, che non dovremmo mai sottrarre tempo alle attese delle nostre figlie e dei nostri figli, anteponendo il lavoro al dialogo con loro: e non si tratta solo di insegnare, ma spesso anche di imparare (e quante cose Gino ora sente di avere imparato da Giulia!).

Ci sono le cifre dei femminicidi nel mondo (uno ogni due minuti: circa il tempo per leggere questo articolo e un’altra donna da qualche parte del pianeta sarà stata uccisa); e c’è la descrizione surreale di quella laurea che doveva essere giorno di festa e si è invece svolta senza la protagonista, e ovviamente senza alcuna festa. Ci sono gli odiatori via web e ci sono le persone che si sono strette intorno a Gino e ai suoi ragazzi. Ci sono i cartelli e i messaggi di affetto da sconosciuti e ci sono i giornalisti invadenti. Ci sono i ricordi di un funerale pubblico e quindi straniante per un dolore anzitutto privato.

Gino sa che “non troverò mai più il mio equilibrio”. Sa anche che la “sua” Giulia ora è la Giulia di tutti: e proprio per questo nel suo futuro, oltre a sostenere la crescita dei due figli, c’è e ci sarà la voglia di trasmettere a tutti il sorriso di Giulia (lo stesso con cui lei ci guarda da una copertina di struggente dolcezza). E la sua voglia di voler bene, che dobbiamo fare nostra e che dobbiamo insegnare alle nostre figlie e soprattutto ai nostri figli.

(Cara Giulia, di Gino Cecchettin con Marco Franzoso, Rizzoli editore- Assolutamente da leggere)

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