Sarebbe senza senso pretendere di ricavare della sociologia da fatti di cronaca isolati, seppur coinvolgenti. Però

è certo che quest’estate non ci siamo fatti mancare niente. Mentre il mondo sembra avviarsi con beata incoscienza su una strada sempre più vicina al rischio di una guerra ancor più tragica di quelle che già ci angustiano quotidianamente e che mietono morti fra Ucraina e Medio Oriente, qui da noi è stata la cronaca a proporre ogni tipo di nefandezze: andando in ordine sparso e a memoria, si passa dalla folle strage familiare di Nuoro a quella forse ancor più sconvolgente (perché commessa da un 17enne) a Paderno, per proseguire con una nuova serie di femminicidi (ma non manca la violenza al femminile, come per la donna che a Catania ha dato fuoco a una ragazza al colmo di una lite). Fino ad arrivare alla storiaccia di casa nostra, con i due neonati seppelliti in giardino da una giovane madre che ora non risponde alle domande dei magistrati.

Ripeto ancora, parlandone da “dentro”: la cronaca sa insinuarsi dentro di noi fino a convincerci che un fatto, o più fatti, rappresentino una regola (fa più notizia una pianta che cade che un bosco che cresce…). Ma senza allargarci fino a questo punto, è sotto gli occhi di tutti che la nostra aria si sia ammorbata, e che l’odio che permea i fatti della cronaca nera sia in realtà qualcosa che “sniffiamo” tutti ogni giorno (basta vedere i termini che vengono usati sui social non solo nel confronto politico, che già pure non li giustificherebbe, ma perfino nel commentare una partita di calcio: il nostro concittadino Pioli, con gli insulti che si è perso l’anno scorso sulle pagine web e social, avrebbe potuto riempire un’enciclopedia. E il suo successore ha avuto la stessa sorte senza quasi neppure il tempo di lavorare, fino poi a trasformare gli insulti in elogi battendo l’Inter, almeno fino alla prossima pioggia di epiteti alla sconfitta successiva).

C’è davvero qualcosa di malato intorno a noi. Del resto, e pur dando atto di quanto a volte sia stucchevole il “politicamente corretto”, una società che anche come vocabolo si inventa come primo nemico da combattere il “buonismo” non può poi sorprendersi se a diffondersi è qualcosa di vagamente opposto (un buonista avrà mille difetti, ma raramente picchia, uccide, bombarda…).

Ma c’è qualcosa in più, nelle vicende che abbiamo elencato (e ce ne sarebbero tante altre: stavo gioà dimenticando il triplo orrore di Viareggio con scippo, vendetta mortale della donna derubata e dibattito da stadio sui social, pro e contro la reazione della donna). La cattiveria nei confronti dell’altro, che in un comportamento illecito e aggressivo è quasi “scontato” fin da quando Caino uccise Abele o Romolo fece altrettanto con Remo, sembra unirsi al disprezzo per la vita in genere, compresa la propria. E’ qualcosa che sembra sempre accompagnare chi, commettendo un reato, spesso si procura poi il carcere oppure decide di togliersi la vita subito dopo i suoi delitti. Ma ora, dalla madre di Vignale (almeno in attesa di capire da lei qualcosa di più) al “folle” sparatore di Nuoro, fino ad arrivare ai reati meno gravi ma sfacciati delle cosiddette baby gang, sembra che ci sia sempre meno voglia, o capacità, di crearsi un “normale” progetto di vita. E che la cattiveria verso gli altri rispecchi, quasi in un ribaltamento del più dolce e prezioso insegnamento della Storia dell’Umanità, un odio anche verso sé stessi.

E’ vero che pandemia e guerre hanno minato molte delle nostre certezze, ma è altrettanto vero che tocca a noi scuoterci, magari staccandoci un po’ da certe atmosfere da reality o da social che sicuramente sono parte di questo malessere. Ma di questo riparleremo, perché parlarne e riflettere è sempre più indispensabile e urgente…

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