“Non c’è più luce di Natale”, ci diceva un verso di Pier Paolo Pasolini di oltre 60 anni fa che in queste ore abbiamo riletto nella sua (purtroppo) attualità. E allora, di contro, mi è venuto da pensare a un’altra luce di Natale, vera e commovente

perché nata nella più buia delle situazioni: il lager.

E’ un presepe con…spelacchio, di cui altre volte ho raccontato la storia. Oggi lo si può vedere a Roncole Verdi, nella casa-museo che ospita i ricordi e il calore di Giovannino Guareschi e della sua famiglia, oggi guidata dal figlio Alberto. Lo “spelacchio” è il rametto che Giovannino mise davanti alla capanna, con legno e cartone a costruire la scena più suggestiva mai raccontata.

E poi c’è la luce, sopra la capanna. Ma non è solo quella, tradizionale, della cometa. E’ la luce di una casa disegnata nel cielo: una casa alle porte di Parma, a Marore, con le stanze al piano superiore sempre illuminate.

Era la casa nella quale si trovava la famiglia di Giovannino, con la moglie, il figlio Alberto e quella Carlotta che il papà non aveva ancora potuto vedere, perché era nata dopo l’inizio della sua prigionia nel campo di concentramento (per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica nazifascista di Salò ed avere ribadito la propria fedeltà al re). I giorni nel lager si succedevano tra fame, percosse, umiliazioni: spesso affiorava la voglia di mollare tutto, e già tanti compagni di prigionia erano morti.

Ma quel piccolo cartone, quel presepe, quelle finestre illuminate dicevano a Guareschi che, accanto alla sua grande fede, c’era un motivo in più per farsi coraggio: la sua famiglia, che aveva appunto le luci accese perché attendeva il suo ritorno. E allora Giovannino si diceva che doveva resistere, che doveva farsi ancora forza, che doveva superare tutte le difficoltà: in una frase, divenuta celebre perché poi riportata nel suo Diario clandestino, Guareschi ripeteva a sé stesso “Non muoio neanche se mi ammazzano!”.

E anche in quel presepe, oltre che dall’avversione per la tragica stupidità della guerra, Guareschi trasse probabilmente qualche ispirazione per la saga che avrebbe poi creato al suo ritorno: il Don Camillo, diviso ma poi sempre riunito a Peppone per le sintesi che superassero i loro contrasti ideologici nel nome del bene comune. La luce del Natale che Giovannino sperava al suo ritorno di vedere nel mondo, salvo poi dover quasi subito scoprire che il mondo non avrebbe smesso di immergersi nuovamente nell’odio, nelle divisioni, nella vendetta e nella stessa guerra. Quella luce che, come già nella poesia di Pasolini, tanti decenni dopo ci accorgiamo di non saper più riaccendere…

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