Non saremo mai abbastanza grati a Alberto Guareschi, per come ha saputo (insieme alla sorella Carlotta che oggi non c’è più e poi insieme ai nipoti) aggiungere al naturale affetto filiale un preziosissimo lavoro da archivista, nel materiale di quel variegato e controverso, ma certamente geniale, papà che ebbe in Giovannino Guareschi. Ed ora

un nuovo prezioso regalo da Albertino (viene da chiamarlo ancora così come faceva papà Giovannino nei suoi libri), che per Bur Rizzoli ha pubblicato Caro Nino ti scrivo, ovvero Giovannino Guareschi in carcere.

Già, perché forse non tutti lo sanno ma Giovannino Guareschi è l’unico giornalista italiano che nel dopoguerra abbia scontato in carcere una condanna, anzi due, per motivi appunto giornalistici (un caso diverso, quindi, dalla più grave e kafkiana vicenda di Enzo Tortora, che proprio a Guareschi dedicò un veemente e quasi presago articolo un mese dopo la morte del creatore di Don Camillo e Peppone). Proprio così: due condanne per la sua attività giornalistica, una per vilipendio del Capo dello Stato e una per diffamazione.

Partiamo proprio da quest’ultima, che fu il vero casus belli della vicenda: Guareschi pubblicò sul Candido due lettere con le quali Alcide De Gasperi (che poi era divenuto leader della DC e presidente del Consiglio: in pratica la più importante figura politica del dopoguerra italiano) avrebbe chiesto agli Alleati di bombardare alcune zone di Roma durante la guerra, affinché ciò servisse ad abbreviarne i tempi fiaccando la resistenza della popolazione e delle stesse truppe naziste. Un’accusa, pur inserendo la vicenda nel contesto grave, doppiamente grave, anche perché De Gasperi avrebbe utilizzato per le lettere carta intestata del Vaticano.

Vere o false? Il leader democristiano, che già aveva avuto con Guareschi un ruvido incontro a tavola qualche tempo prima, reagì con una immediata querela per diffamazione, con “ampia facoltà di prova” concessa al querelato. E qui il discorso si snoda in più parti, che proviamo a sintetizzare e che nel libro trovate ovviamente e ampiamente sviluppate. 1) Ad oggi nessuno può dire con assoluta certezza se quelle lettere fossero dei falsi. Questa, come vedremo fra pochissimo, fu e resta la verità processuale, così come anche persone affezionatissime a Guareschi (ad esempio Indro Montanelli) provarono a dissuaderlo dal pubblicarle e anche in seguito si espressero più per l’ipotesi di un falso. Però… 2) Quel che è certo è che il processo ebbe un andamento molto sbilanciato a favore di De Gasperi, Quella “ampia facoltà di prova” e l’utilizzo di perizie a lui favorevoli non furono di fatto consentiti a Guareschi e a sancire l’estraneità di De Gasperi parve che i giudici si accontentassero della sua stessa proclamazione di “innocenza”. 3) Al di là dell’esito processuale (e capite che ovviamente non stiamo parlando di un dettaglio, perché l’impatto sulla vita e sulla salute di Guareschi furono tremendi), dopo la sentenza iniziò un’altra vicenda importantissima e attualissima, che il libro di Alberto ci aiuterà a spiegare e tramandare.

Morale: il 15 aprile 1954 Guareschi viene condannato per diffamazione, a un anno di carcere. E ovviamente, come prevede la legge italiana, i suoi avvocati potrebbero proporre appello contro la sentenza. Contemporaneamente, se De Gasperi e la Democrazia cristiana escono “soddisfatti” dalla sentenza, l’imbarazzo dei leader DC e di gran parte del loro elettorato è enorme: Guareschi, infatti, è stato un protagonista della fondamentale battaglia elettorale che solo 6 anni prima (aprile 1948) ha consegnato l’Italia proprio nelle mani della DC e del suo leader, riconoscendola parte del blocco occidentale legato agli Stati Uniti in opposizione al modello sovietico cui guarda il Fronte popolare comunista e socialista.

Allora, in perfetto stile DC, si cerca una soluzione per salvare capra e cavoli. E a muoversi è nientemeno che il potentissimo ministro Scelba, che si reca all’abitazione milanese di Guareschi, evidentemente per proporgli qualche aggiustamento di compromesso. Qui, però, inizia la parte che dal giornalista e polemista Guareschi ci riporta alla grandissima dignità e forza morale dell’uomo Giovannino, quasi a ripetere in altro contesto la lezione che lo scrittore aveva saputo dare nei due anni di prigionia nei lager nazisti. Per cominciare, infatti, Guareschi fa dire a Scelba dalla moglie che lui è impegnato col lavoro: Scelba abbozza, ma dopo due ore di inattesa e rabbiosa anticamera capisce che Guareschi non ha alcuna intenzione di vederlo, né di scendere a compromessi con chicchessia.

Già: con una scelta inusuale e che ancor oggi ci stupisce e ci spinge all’ammirazione, Guareschi – seppur amareggiatissimo da una vicenda che quanto meno lo vede sicuramente in buona fede e da una condanna che gli arriva proprio dallo Stato italiano per il quale aveva affrontato la drammatica scelta dell’internamento nel lager – riassume tutto in una delle sue tipiche frasi: “Per rimanere liberi bisogna, a un bel momento, prendere senza esitare la via della prigione”. Chiedetevi quale politico o giornalista oggi sarebbe capace di sostenere la stessa scelta…

Non è finita, perché qui si incastra la storia – questa totalmente scandalosa – della seconda condanna. Che in realtà era stata la prima: nel 1950, infatti, una innocentissima vignetta di Carletto Manzoni, che ironizzava sul presidente della Repubblica Einaudi produttore di vino, con due ali di bottiglie trasformate in corazzieri, era costata una condanna per vilipendio del Capo dello Stato anche a Guareschi, per avere pubblicato la vignetta sul settimanale Candido di cui era direttore “responsabile”. Questa è una storia che grida vendetta ancor più della precedente, sulla quale ognuno può avere la propria opinione. Fatto sta che quella condanna a 8 mesi, che era coperta dalla condizionale, ora a causa della condanna per la vicenda De Gasperi si assomma ai 12 mesi di reclusione previsti per la diffamazione nei confronti del leader democristiano.

Neppure questo sposta di un millimetro la determinazione di Guareschi ad affrontare il carcere: e quindi il 26 maggio 1954 Guareschi parte da Roncole e si presenta davanti al carcere di San Francesco, nel cuore di Parma, accompagnato dallo stesso zainetto che aveva portato con sé nel lager…

Le 368 pagine del libro di Alberto compongono il racconto di quella nuova drammatica esperienza per Guareschi, attraverso lo scambio di lettere con moglie e figli (davvero commoventi certi passaggi) e attraverso la ricostruzione puntuale degli aspetti pubblici di quella carcerazione. Compreso l’enorme e affettuoso supporto che gli estimatori di Guareschi gli dedicano attraverso le lettere inviate in San Francesco, sempre con la spada di Damocle della censura che spesso – e ottusamente -interviene. Ci sono alcune impagabili vignette, che già da sole dicono più di mille parole.

C’è anche, come già nel Diario clandestino, il formidabile schermo della sua ironia e autoironia. Valga per tutti l’esempio di uno dei suoi “Bollettino del detenuto”: Cielo: sereno, Morale: altissimo con tendenza di aumentare la quota, Coscienza: pulita. Ma soprattutto, c’è la lezione che oggi suona quasi incredibile di un uomo che (anche ammettendo che avesse sbagliato la valutazione di quei documenti) non esita a rinunciare a qualunque scappatoia, mentre ripete agli altri – e a sé stesso – che quella nuova prigionia, per quanto amarissima e ai suoi occhi ingiusta, sarà la dimostrazione della sua…Libertà. E lo dice con parole che richiamano alla mente quelle del suo nobilissimo e imperdibile Diario clandestino: “Qualcuno forse credeva che io mi sarei gonfiato di odio (…) io uscirò di qui sorridendo e con il cuore leggero”.

Grazie, Alberto, per averci conservato e ora regalato questo racconto che 70 anni dopo ha ancora tantissimo da insegnarci.

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Leggete davvero questo Caro Nino ti scrivo. E poi, se vorrete saperne di più su Guareschi, mi permetto di segnalarvi anche il mio piccolo libriccino:

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